Ho letto Dimenticare di Peppe Fiore in due sere, alla metà di settembre.
Un mese fa, più o meno.
Ero in una casa isolata, in mezzo a boschi di faggi e lecci. Ci ero andato di mia spontanea volontà accollandomi ogni conseguenza possibile e con la voglia di dedicare tempo a cose che, sempre più spesso, trascuro.
Ora scrivo da casa mia, invece. Il periodo di isolamento volontario è finito e Dimenticare mi è tornato in mente con prepotenza.
È tornato prepotentemente ai miei occhi non solo perché è ancora appoggiato sopra la libreria senza un posto ben definito, e quindi attira lo sguardo, ma anche perché in quella casa isolata ho scritto molto, e forse ho dato un indirizzo al secondo disco che (insieme ai miei compagni di viaggio) intendiamo produrre nei prossimi mesi. Una canzone molto energica di queste nuove si intitola Non si dimentica e racconta della determinazione e al contempo dello sconforto di un uomo che ha voglia di passare oltre, di superare ciò che sta vivendo. Parla anche, però, di come i ricordi collegati alle emozioni si mantengono vivi, come legna sotto a una cenere calda.
Sembrerà banale ma ciascuno di noi ha avuto esperienza diretta della forza che hanno quei ricordi che sembrano sotterrati e morti ed invece tornano a zampillare improvvisamente. Esperienza diretta della forza, della profondità e anche della incapacità di ognuno di respingere il ritorno dell’onda, di arginare la sua portata.
In Dimenticare c’è un alone perpetuo di questo sentimento. Si parla di Daniele che, dopo essere “scappato” da Fiumicino, si ripara nel piccolo paesino di Tricase, sull’Appennino laziale, e rimette a nuovo un bar di montagna, in fondo a un vecchio impianto sciistico. Nel silenzio e nell’isolamento, però, il passato trova autostrade da percorrere per tornare a Daniele. Nel bar in montagna Daniele non ritrova solo il suo passato oscuro, ma un segreto inconfessabile anche a se stesso.
«Allora Daniele fece una cosa che non faceva da anni. Chiuse gli occhi e li rivolse verso se stesso. Ogni volta che si era guardato dentro aveva visto solo panorami in tumulto e caos, aveva visto la paura e la violenza, l’informe e il disordine e la sua stessa biografia che schizzava intorno come un rettile con la testa mozzata» (p. 86).
Nella vita solitaria di Daniele entrano altre vite (quella di Eleonora, poi quella dello sconosciuto nella roulotte, e quella di Cecconi – la guardia forestale che lo accoglie e rimane sempre sulla soglia della sua vita, fino a un momento ben preciso). Le altre vite non fanno che appoggiare nuovo sale su ferite che Daniele sa non potranno mai chiudersi. «Ci sono domande che servono a tenerti in vita e altre che servono ad ammazzarti», gli dice una volta Cecconi (p. 112).
Oltre a qualche intelligente colpo di scena che riesce a rendere interessante la narrazione, è l’assenza di giudizio la parte migliore della scrittura di Fiore. Daniele (e tutti i personaggi coinvolti) non sono mai condannati se non da loro stessi, dalle proprie coscienze. Come a sottolineare che i ricordi, tutto quel confuso e a volte ignobile insieme di cose che non si dimenticano mai davvero, sono proprietà privata di chi li ha. E forse è proprio per questo che poi ognuno ha voglia di portarli fuori di sé, perché altrimenti ti strozzano fino a renderti arido.
RIFERIMENTI:
Peppe Fiore, Dimenticare, Einaudi 2017, pp. 192, € 18,50
Qui una bella recensione di Mario De Santis, uscita su Robinson.
Qui la fonte da cui è tratta l’immagine in evidenza.
Qui la canzone citata nel titolo del post.