Luglio si è preso la terra ricoprendola di un velo di polvere. Con il sole della sera l’erba sulle colline si fa d’amaranto e d’orzo, uno sferragliare arido di cicale. Tutto riflette il proprio colore, posa il suo spettro addosso a ciò che gli è vicino come in un dialogo di luci. La sommità delle piante si affatica a resistere in aria e, assuefatta di sole, piange ombra dentro i boschi di faggi, nei rari sentieri che rimangono aperti sotto ai cerri dalle foglie verdi e nere.
Luglio si è preso tutta la notte che poteva, spingendosi così in là che la dinamica dell’alternanza sembra sul punto di esaurirsi. Eppure, ogni sera, le montagne hanno la meglio. Sagge, con cautela, inghiottono il sole nel gorgo enorme che dorme alle loro spalle: un’altra vallata nascosta dentro la quale sentirsi stretti da un abbraccio. La polvere allora si assorbe, il croccare dei passi sulla ghiaia rimesta i sassi e il suono che intorno si compone. È il delirio del respiro, la riconquista dell’aria.
S’innesta dunque un pensiero diffuso, rasserenante e grandioso. Luglio si è preso tutti i secondi possibili, perfino bevendo l’acqua nelle vene nascoste della terra; ha incocciato la sua fronte dura contro lo spavento che nasce tra le cose realizzate a metà; si è spinto oltre e ha depositato tracce di sé dentro il movimento involontario delle anime.
Chi guarda luglio arrivare e andarsene scopre una dichiarazione d’amore: tutto è ancora possibile, anche il dolore è solo di passaggio.
***
Foto mia, Spoleto – Luglio, 2021